Machiavelli e le scelte politiche di oggi
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese, ma ebbe un’educazione umanistica. Non essendo portato per gli affari economici, intraprese la strada della politica e nel 1498, divenne segretario della Repubblica di Firenze. Rimase al servizio della Repubblica fino al 1512, quando ritornò al potere la famiglia dei Medici. Il ritorno al potere dei Medici a Firenze lo fece cadere in disgrazia per aver appoggiato la causa repubblicana. Fu imprigionato e liberato nel 1513. Ebbe così inizio un lungo periodo di ritiro e di isolamento, durante il quale scrisse opere storiche, politiche e anche letterarie.
Machiavelli pose al centro del suo pensiero l’idea che la politica non deve inseguire insegnamenti morali e religiosi che non hanno alcuna possibilità di essere messi in pratica. Inoltre, secondo Macchiavelli, l’uomo deve essere combattivo e non deve rinunciare a lottare contro la forza avversa della Fortuna. Invece gli uomini comuni tendono ad avere un atteggiamento di rassegnazione verso le cose perché ritengono che non si possa andare contro Dio e la Fortuna.
Le due opere più importanti di Machiavelli furono “Il Principe” (1513) e “i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” (1513-19), scritte negli anni del suo ritiro dalla vita politica attiva. Scrisse opere storico-politiche tra cui le “Istorie fiorentine”, portate a termine nel 1525. In esse Machiavelli parlò degli eventi storici della città e criticò la lotta delle fazioni, che resero instabile il governo della città. Lo scrittore fiorentino fu anche un grande letterato e scrisse delle commedie in prosa: “La Mandrangola” e “Clizia”.
Ne “Il Principe”, trattato politico dedicato a Lorenzo Di Piero de’ Medici, nipote di Lorenzo Il Magnifico, egli si pose principalmente il compito di analizzare come si possa fondare e mantenere uno Stato nuovo.
Il Principe è visto come un eroe politico, capace di fondare e difendere uno Stato nuovo. Questo eroe deve essere pronto a usare la violenza quando è necessario. Deve cercare di ottenere il consenso del popolo, fare buone leggi, usare la forza del leone e l’astuzia della volpe, apparire morale e religioso per non offendere i sentimenti comuni ma essere pronto a usare ogni mezzo per salvare la comunità politica, di qui la celebre affermazione “il fine giustifica i mezzi”.
Se infatti la virtù è intesa come la capacità di capire con lucidità gli eventi e l’intelligenza per gestirli, sapersi comportare in base alle esigenze reali e non quelle ideali, agire con bontà o crudeltà, forza e furbizia, liberalità e parsimonia, allora l’uomo politico, che ha a cuore il bene generale di un Paese, a volte si potrà trovare nelle condizioni di applicare dei mezzi non accettati da alcuni comuni cittadini, ma per un fine collettivo giusto.
Ad esempio, è un anno che abbiamo a che fare con la pandemia del Covid e gli uomini politici hanno dovuto prendere delle decisioni non semplici per riuscire ad arginare il contagio, ci siamo trovati più volte in “zona rossa”, siamo a casa a fare DAD e non ci piace molto, però abbiamo capito che non sempre le scelte di chi comanda sono semplici e quindi, per un bene superiore è stato scelto temporaneamente ciò che non sempre è vantaggioso per noi alunni. Possiamo pensare anche all’economia del paese, a tanti negozi chiusi, alle difficoltà in cui versano tante famiglie, però, anche in questo caso, i mezzi sono giustificati da un fine superiore che è quello di evitare il contagio.
Comunque, per quello che sarà possibile, la politica è bene che vada sempre di pari passo con l’etica perché secondo me il buon politico è quello che riuscirà a trovare un giusto equilibro tra i mezzi e il fine!
Giovanni – 2C