La follia nei soldati della Grande Guerra
Oggi conosciamo bene la vita dei soldati in trincea perché ci sono state trasmesse testimonianze, lettere e pagine di diario scritte proprio dai soldati, i quali sentivano il bisogno di ritrovare se stessi e di mettere ordine nel caos della guerra. In molti casi, però, la paura e il senso di precarietà furono talmente grandi da diventare inesprimibili e insuperabili per un essere umano. Ci siamo chiesti, allora, come è stato tornare alla normalità per quei giovani reduci, dalla vita ormai distrutta.
A causa della guerra, molti soldati si ammalarono gravemente di nevrosi, altri, invece, ebbero degli shock da combattimento: questi soldati, con malattie del sistema nervoso post traumatiche, vennero definiti “gli scemi di guerra”.
Dopo l’esperienza in trincea non sarebbero stati più gli stessi, la loro mente era come svanita: i soldati colpiti dalla nevrosi traumatica non parlavano, non ricordavano, non sentivano. La presenza costante di cadaveri e la conseguente perdita di rispetto per i morti ebbero ripercussioni gravissime sulla psiche umana. Le relazioni cliniche del tempo raccontano di continui tremori, allucinazioni, incubi sempre uguali e frequenti crisi di pianto. Addirittura i pazienti erano diventati talmente impressionabili che avevano paura di avere paura. La malattia mentale rappresentò un reazione di ribellione della fragilità umana, anche se non consapevole. Per gli alti comandi, invece, gli uomini sotto shock, che si rifiutavano di combattere, erano dei traditori o dei codardi.
Quando negli ospedali i medici mostravano degli oggetti appartenenti alla guerra, i soldati malati cercavano in tutti i modi di nascondersi e di mettersi al sicuro, ripetendo i movimenti della trincea. L’impatto della guerra su tutti i soldati fu enorme perché significò anche l’esplosione della modernità, lo sdoppiamento della personalità e la perdita dell’identità: gli uomini non si sentivano più attori della loro vita, ma comparse. Con le armi chimiche, in un solo minuto, potevano perdere la vita migliaia di esseri umani e ciò spiega maggiormente il disagio provato.
Quelli che svilupparono un senso di compassione verso l’altro e che non si abbandonarono all’indifferenza pagarono con la follia.
I ragazzi della III C