In viaggio nella macchina del tempo
Mi sedetti nel morbido sedile finalmente e osservai il mondo intorno a me: tutto ciò che vedevo in quel momento, il laboratorio, le altre invenzioni, si sarebbero distrutte nel giro di quello che a me sarebbe sembrato un paio di minuti. Davanti a me c’era la leva che possedeva nelle sue mani il potere di far accelerare tutto finché i movimenti sarebbero diventati impercepibili a occhio umano.
Decisi finalmente di azionarla e distrattamente lasciai tutta l’euforia che avevo prima di andarmene e svanire. Quel battito eccessivo del mio cuore, che prima simboleggiava il mio entusiasmo, si era tramutato in paura, mentre tutto attorno a me girava sempre più velocemente. Per non concentrarmi tanto sull’ansia e sull’angoscia che prevaleva nei miei pensieri, guardai i mutamenti al di fuori della macchina. Il laboratorio era cascato a pezzi nel giro di dieci minuti, mentre le luci lampeggianti del giorno e della notte diventavano sempre più rapide. Quel continuo cambiamento di luce faceva mano a mano più male ai miei occhi e dovetti distogliere lo sguardo per non accecarmi completamente.
Mi concentrai quindi sui suoni, ma mi accorsi velocemente di non avere la minima percezione dei rumori: mentre all’inizio potevo sentire fievolmente tutto ciò che accadeva, ora sembrava si fosse dissolto del tutto come un granello di sale in un bicchiere d’acqua. Le cinture cominciavano a premere con più veemenza sulle mie spalle e sulla mia pancia e quando ormai era tutto troppo veloce per essere notato, non mi restava altro che pensare alla sensazione di preoccupazione e di ansia che mi stava percuotendo molto più di quanto tutto il resto stesse già facendo.
Il mio cuore sembrava voler palpitare più veloce dei mutamenti a cui assistevo nel mondo esterno, e cominciai a pensare di dovermi fermare. Non sarei più potuto tornare indietro, quindi dovevo essere più cauto con i viaggi temporali, per evitare di finire in un mondo distrutto senza via di scampo. Le lancette dell’orologio, posto nella macchina, sembravano essersi fermate per colpa dell’esagerata rapidità a cui erano sottoposte, e così decisi di fermare l’interruttore.
Piano piano tutto intorno a me si calmava, cominciavo ad essere di nuovo in grado di osservare l’alternarsi delle stagioni e poi dei giorni, finché anche i movimenti della lancetta diventarono visibili e i suoni percepibili. Finalmente tutta la pressione a cui ero stato sottoposto era svanita e il marchingegno si era fermato del tutto. Intorno a me non vedevo altro che una pianura di terra maltrattata con erba incartapecorita che spuntava tra le crepe del terreno.
Non ero più tanto confidente sul fatto di voler scendere. Cominciai a preoccuparmi di essermi catapultato in un futuro catastrofico, ma allo stesso momento non volevo viaggiare più avanti e aggravare la situazione, quindi decisi di scendere: appena aperta la porticina, un caldo soffocante catturò e disintegrò la piacevole sensazione di fresco che era nella macchina del tempo. Non riuscivo più a respirare normalmente, come se avessi ingoiato un tappo per la gola. Per finire i raggi del sole stavano lacerando i tessuti della mia pelle piano piano e dopo non fui più in grado di raccontare a livello sensitivo ciò che stessi provando, diventai invece consapevole del fatto che sarei presto diventato un arrosticino sfrigolante e spasmatico sul bollente pavimento.
Claudia – 3C